SCARICA IL PDF   > Kaleidos n. 32 – Il ’68 Utopia e realtà

Editoriale di  DANIELA ZAMBURLIN

Raccontare, ricordare, riflettere, ‘rileggere’ da una distanza che consenta un giudizio egualmente lontano da facili entusiasmi e da mistificanti valutazioni: questo si propone di fare Kaleidos affrontando il tema del Sessantotto.
Consapevoli che su questo Movimento
– il più rivoluzionario e globale del 900 – è stato detto tanto, nel bene e nel male, crediamo si debba riesaminare tutto il periodo, illuminando fatti e persone con una luce meno inquisitoria e parziale, ma anche priva di enfasi e trionfalismo rispetto a quanto era stato fatto ad esempio negli anni ottanta.
Gli anniversari servono anche a questo e la prospettiva storica, pur ancora di breve raggio, conferisce pacatezza ai giudizi, evidenzia gli errori, recupera i valori.
Dopo il sessantotto ci sono stati gli anni di piombo, poi però, superata la violenza di cui si assiste oggi ad un ritorno, pur in forme diverse, anziché al sogno della fantasia al potere e all’affermazione della meritocrazia, abbiamo assistito, impotenti e complici, ad uno scivolamento verso una crisi culturale spaventosa. Crisi certo di valori, ma anche economica, di impegno e di responsabilità, che riflette e provoca una emergenza sociale gravissima, che investe tutto e tutti e preoccupa.
Era a questo sfacelo politico che il Sessantotto, con la sua messa in discussione del principio di autorità voleva portare? Non lo crediamo, ma è indubbio che non c’è stata la capacità di sostituire le baronie con una classe dirigente colta, preparata, efficiente ed onesta. Scambiare i diritti con i talenti non è operazione corretta né in grado di promuovere giustizia sociale. Ne abbiamo i risultati sotto agli occhi, con pericolose derive di estrema destra che crescono
e si diffondono in tutta Europa.
Forse il risultato di maggior efficacia può individuarsi nella decisa azione a sostegno delle conquiste delle donne: senza l’autocoscienza che il sessantotto ha prodotto in tutto il mondo femminile, crediamo che sarebbe stato assai difficile ottenere le leggi sul divorzio e sull’aborto. Il bilancio si impone dunque quasi da solo con i suoi pro e contro: tra i primi va ricordato il contributo a rendere più aperta la società e a far emergere la categoria sociale dei giovani, con identità propria e bisogni specifici.

E ancora ad aver posto l’attenzione sul valore del pacifismo, non come utopia bensì come pratica personale e politica. Forse il merito più duraturo va individuato nella difesa dei diritti civili e sindacali e nell’affiancamento e sostegno alle rivendicazioni delle femministe contro i tabu sessuali. Memorabili restano i segni in alcuni slogan: forse il più famoso tra tutti rimane ‘l’utero è mio e lo gestisco io’. Meno condivisibili altri, come quello che invita a non fidarsi di chi ha più di trent’anni, insomma a praticare ingiustificate rottamazioni.
Favorito da un salto tecnologico – che gli stessi sessantottini non potevano prevedere – e assai pericoloso, si è rivelato l’avvio indiscriminato alla comunicazione di massa, capace di raggiungere un gran numero di persone, ma spesso portatrice di messaggi effimeri, di incultura.
“Sai che cosa è stato il Sessantotto?” chiediamo ad uno studente di liceo all’ uscita da scuola “Il Sessantotto? …Era una discoteca… un posto dove si trovavano i ragazzi in gruppo per discutere sulle interrogazioni.” Cosi risponde il ragazzo, liquidando il Movimento grazie al quale oggi esistono negli istituti scolastici i rappresentanti di classe. Abbiamo raccolto qualche altra risposta, meno destabilizzante, ricordava la contestazione dei giovani contro i professori. Ma, alla richiesta su che cosa volesse dire quel contro e perché, nessuno ha risposto. •

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